Sono sempre stata parte di quel magico rituale che è la logica semplice della natura.

Coltivo, ma con la cura e il garbo che meritano tutte le cose preziose. Ogni fiore mi ha insegnato che raccogliere è un dono che svela altri tesori ogni qual volta si fa gesto. Da qui il mio amore spirituale per la terra, sbocciato nelle distese immense della Piana del Sele dove la mia famiglia, contadini da ben cinque generazioni, non ha sfruttato, ma investito nel valore della delicatezza. Con questo sentimento abbiamo guardato lontano ma con gentilezza, sperimentando coltivazioni all’avanguardia, credendo in un’agricoltura sempre sostenibile e rispettosa dei tempi della terra e di chi la lavora.

Ricordo quando costretti dalla crisi a diversificare le coltivazioni, passammo dai fiori recisi alle baby leaf, mio padre fra i denti ripeteva “I FIORI NON SI MANGIANO”. Non avrebbe mai creduto che un giorno sarebbero diventati uno dei nostri prodotti di punta e li avremmo distribuiti tra bar, pasticcerie e ristoranti di mezza Europa.

Ho cominciato postando foto dei fiori e dei piatti arricchiti con decorazioni coloratissime, raccontavo le varietà e le proprietà nutrizionali e quasi per gioco, ho attivato un meccanismo “social-E” che in poco tempo si è trasformato in un lavoro. Mi sono ritrovata a fare le prime consegne personalmente. L’hashtag #labellezzacisalverà che accompagnava i miei racconti dal campo è rimbalzato tra le pagine degli amici e al passaparola sono seguite visite e telefonate di persone curiose di vedere “i fiori che si mangiano”.

Quando la mia passione è diventata un lavoro, la mia premura è stata da subito che il progetto non perdesse il suo incanto al crescere della domanda. Sentivo infatti di dover rispondere a un’ispirazione più ampia, a quel principio di armonia che regola l’equilibrio di tutte le cose, in cui ognuna si fa complementare e indispensabile per l’altra. Ogni filare ha dentro di sé un universo, brulica di vita, di odori e anche di suoni e non mi è sembrato strano, per quanto insolito qui in agricoltura, che durante la raccolta e il trapianto ci fosse musica all’interno delle serre.

La musicoterapia si unisce quindi all’aromaterapia, alla cromoterapia e all’ortoterapia e posso dire guardandomi intorno di aver creato un contesto unico, fuori dal tempo.

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